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Mala gestio e criteri di quantificazione del danno in caso di inadempimenti determinati

Con una recente ordinanza (n. 13220 del 26 gennaio 2021, depositata il successivo 17 maggio) la Corte di Cassazione ha affrontato il tema della prova e quantificazione del danno ascrivibile alla mala gestio degli amministratori.

 

La Corte ha cassato con rinvio una pronuncia d’appello, con la quale – ai fini della quantificazione del danno – era stata fatta applicazione di criteri equitativi. Gli ermellini, dopo aver richiamato i principi sanciti con sentenza a S.U. n. 9100/2015 [la quale aveva chiarito che “nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma della L.Fall., art. 146, comma 2, la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato quale parametro per una liquidazione equitativa solo ove ne sussistano le condizioni, ovvero sempreché il ricorso ad esso sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, l’attore abbia allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo”] ha ritenuto che, nel caso di specie, avendo il curatore contestato la responsabilità dell’amministratore della società per specifici inadempimenti era possibile che  – ove provati – tali adempimenti “avrebbero consentito l’esatta quantificazione del danno … senza alcuna necessità di far ricorso al criterio equitativo”.

 

Proprio con riferimento a tale criterio, la Corte osserva come “nè l’adozione di tale criterio si giustificava in ragione del dedotto aggravio del dissesto per illegittima prosecuzione dell’attività dopo la perdita del capitale sociale, posto che … il giudice, per poter liquidare il danno nella differenza fra attivo acquisito e passivo accertato, è tenuto a indicare le ragioni per le quali ha ritenuto, da un lato, che l’insolvenza sia stata causata da tale condotta e, dall’altro, che l’accertamento del nesso di causalità materiale fra le stessa ed il danno derivatone gli fosse precluso per l’insufficienza delle scritture contabili (Cass. 19733/2015 e, in termini sostanzialmente analoghi, Cass. n. 9983/2017).”

 

L’errore in cui è incorsa la corte di merito è stato dunque quello di aver ritenuto (in base ad una erronea e carente analisi dei fatti) che non fosse possibile determinare il danno sofferto dalla società se non con la differenza tra attivo e passivo, “in tal modo sostanzialmente esonerando il Fallimento dall’onere della prova che gli incombeva”.

 

Cass. n. 13220 del 2021